Le mie notti con Filottete

Romanzi / 128 pagine / € 12,00
OTMA Ed. 2015 - ISBN - 978-88-6663-111-8. . .

A chi mi chiedesse perché ho sentito il bisogno di scrivere questo libro, l’ultimo della tetralogia che conclude la serie dei miei racconti in chiave autobiografica, confesserei che mi sono posto la stessa domanda, unitamente a un’altra più impegnativa: qual è la ragione per cui continuo a scrivere. La migliore risposta l’ho trovata nelle Lettere a un giovane poeta di Rilke: “Penetrate in voi stesso. Ricercate la ragione che vi chiama a scrivere; esaminate s’essa estenda le sue radici nel più profondo luogo del vostro cuore… raffigurate le vostre tristezze, e nostalgie, i pensieri passeggeri e la fede in qualche bellezza, raffigurate tutto questo con intima, tranquilla, umile sincerità e usate, per esprimervi, le cose che vi circondano, le immagini dei vostri sogni e gli oggetti della vostra memoria”.
Con questo viatico ho scritto il presente racconto, un “ viaggio intorno alla mia camera”, per dirla con De Maistre, dove esprimo pensieri, certezze e dubbi sia attraverso un dialogo immaginario con Filottete, famoso eroe omerico, sia tramite ritagli di un epistolario con Marta (la mia musa) e con Zanzibar (il mio fratello… africano). È la narrazione della storia, tramandataci da migliaia di anni, del famoso arciero, nonché di quella, più recente, del dipinto che troneggiava nella mia stanza da letto. Ma non solo. È il racconto del sogno, perché noi siamo fatti della stessa natura dei sogni (Shakespeare docet); dell’eros, la forza vitale che governa la partita della vita; della solitudine, impersonata da Filottete abbandonato sull’isola di Lemno (dieci anni di vita sospesa); di un misterioso diario, testimone del dramma vissuto da una donna tradita; del “politicamente corretto”, l’ipocrisia dominante; di avventure immaginarie a Roma e a Venezia; del tempo, “che tutto toglie e tutto dà”; della condizione della donna attraverso i secoli; dell’amore seriale e di quello relazionale, dell’attitudine a guardarsi l’ombelico; di alcune opinioni sull’arte moderna; della mania per gli epistolari; dello “sguardo vuoto” di lei…la donna del destino.
Imitando Grossman, posso affermare che questo racconto è “un coltello con cui frugo dentro me stesso”. Non nascondo un velo di malinconia per gli “anni di confine”, pur con la consapevolezza che the show must go on. La rappresentazione deve continuare. Affiora anche un po’ di nostalgia nel finale, dove scorrono come in un film alcuni episodi della mia vita: il Natale con le lampadine multicolori, le vetrine illuminate, le piazze affollate e gli abeti mascherati da alberi di Natale; lo zio Natalino e il cinema dove si proiettano “cavalli e polvere”; la mia inesausta voglia di scrivere “facendomi degli harem nella testa”. Con la sensazione, o meglio la convinzione che, per restare vivo, devo “camminare nel sogno”. 

Franco Onida
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